Il concept di questa Pasta e Patate 3.0 è il frutto di un percorso di ricerca, scoperta e reinterpretazione che affonda le radici nel cuore della Maremma laziale, in un viaggio guidato dal progetto DivinMangiando proposto dall’Associazione Italiana Food Blogger (AIFB).
Anche se non ho visitato personalmente Tarquinia, questo piatto nasce da un’intima connessione emotiva e culturale con quel territorio, grazie alla narrazione e alla cura con cui i produttori locali raccontano le proprie eccellenze.
Tarquinia, città etrusca di rara bellezza, è un crocevia tra storia, arte e agricoltura. Protetta dalla macchia mediterranea e nutrita da una terra sabbiosa e fertile, questa zona rappresenta un ecosistema agroalimentare vivo e sostenibile, riconosciuto anche da Slow Food per i suoi Presìdi e per l’impegno a mantenere vive le tradizioni locali. Il paesaggio racconta una ruralità autentica, fatta di campi coltivati con sapienza, di mani che trasformano la materia prima con passione.

Il progetto DivinMangiando mi ha permesso di avvicinarmi a questa realtà attraverso le voci dei produttori, selezionati con cura da AIFB grazie all’impegno di Vittoria Tassoni. Ogni foodblogger partecipante, infatti, ha ricevuto una box contenente una selezione di prodotti provenienti dal territorio di Tarquinia. È stato lasciato a ciascuno di noi il compito di scegliere quali ingredienti utilizzare e in che modo valorizzarli, trasformando così un gesto creativo in una dichiarazione d’amore per il territorio.
Le storie dei produttori, quindi, sono diventate per me fonte di ispirazione e materia narrativa. La ricetta che propongo è una sintesi gastronomica e poetica: un raviolo semitrasparente aperto, realizzato col pomodoro di Tarquinia, farcito con patate affumicate, servito su una salsa di farro integrale, come tributo alla terra e all’innovazione.
Tarquinia e la Maremma laziale: dove la terra incontra la storia
Non ho mai visitato Tarquinia, ma è come se l’avessi incontrata tra le pieghe dei racconti, nei gesti di chi la coltiva, nei sapori che arrivano da quella terra. È un territorio che si fa conoscere anche a distanza, con discrezione ma con forza, attraverso i suoi prodotti, la sua storia, la sua luce.
Siamo nel cuore della Maremma laziale, una zona di confine tra l’alto Lazio e la Toscana meridionale, in cui il paesaggio cambia con naturalezza: si passa dalle colline dolci agli altipiani agricoli, dalle aree boschive alla costa sabbiosa, con l’oasi naturale delle Saline di Tarquinia a fare da cerniera tra terra e mare. È un ambiente ricco di biodiversità, abitato da aironi, fenicotteri e numerose specie migratorie, e rappresenta uno dei luoghi simbolo dell’equilibrio tra uomo e natura.
Tarquinia è anche un luogo profondamente segnato dalla storia. Città simbolo della civiltà etrusca, conserva una delle necropoli dipinte più importanti d’Europa, dichiarata patrimonio UNESCO. Le tombe affrescate raccontano un mondo antico ma sorprendentemente moderno: pieno di colore, di movimento, di vita quotidiana. Accanto alla necropoli, il centro storico medievale, con le sue torri in pietra e le chiese romaniche, rivela secoli di stratificazione culturale e architettonica.
Il territorio rurale che circonda la città ha mantenuto una forte vocazione agricola, fatta di campi coltivati, grano, ortaggi, ulivi e vigneti, spesso gestiti da piccole realtà familiari che lavorano secondo i ritmi della natura. È una terra in cui la sostenibilità non è una moda, ma una pratica quotidiana, ereditata da generazioni.
Anche se non l’ho ancora vissuta con i miei passi, sento che Tarquinia ha molto da raccontare. E ogni ingrediente che arriva da lì — ogni sapore, ogni profumo — è una piccola finestra su questo mondo fatto di cultura, natura e bellezza rurale. In cucina, provo a interpretare tutto questo con rispetto e curiosità, lasciando che il piatto diventi una forma di narrazione.
In un certo senso, ogni ricetta è un viaggio. E questo, per me, è stato il mio primo passo verso Tarquinia.

Pasta e Patate 3.0: reinterpretazione di un classico delle mie origini partenopee
La scelta di reinterpretare la pasta e patate in questa versione contemporanea nasce da una riflessione sulle mie radici e sul significato della tradizione nella cucina di oggi. Crescendo, questo piatto (la pasta e patate) ha sempre rappresentato per me un simbolo di semplicità concreta e sapienza domestica. Per quest’occasione non volevo solo rievocarlo in chiave nostalgica, ma renderlo moderno, leggero ed essenziale.
La decisione di presentarlo attraverso un linguaggio “futuristico” deriva dalla volontà di esaltare le materie prime senza mascherarle, portandole a parlare direttamente, attraverso texture e forme inedite. L’idea di proporre una pasta e patate 3.0 si traduce in un equilibrio tra memoria e innovazione, in cui gli ingredienti sono spinti a esprimersi con una forza nuova, senza perdere autenticità.
Lavorare su un raviolo trasparente, realizzato con tecniche meno convenzionali, mi ha permesso di conferire al piatto una leggerezza visiva e sensoriale che si traduce in un messaggio chiaro: la tradizione può evolvere senza snaturarsi. La patata affumicata, protagonista del ripieno, è trattata per esaltarne il carattere rustico, mentre la salsa di farro, scelta per l’importanza cerealicola del territorio di Tarquinia, incornicia il piatto in una narrazione che parla di terra, sostanza e storia.



Questo progetto rappresenta un modo personale di raccontare il mio rapporto con il territorio, con la tradizione e con l’idea di cucina come spazio di ricerca. Non si tratta di stravolgere, ma di leggere diversamente ciò che è già profondamente radicato nella memoria.
Ricetta Pasta e patate 3.0
Ingredienti per quattro persone:
Per il raviolo trasparente di pomodoro aperto:
– 150 ml di passata di pomodoro
– 150 ml di acqua
– 3 g sale
– 2 g agar agar
Per il ripieno:
– 400 g di patate
– 10 aghi di rosmarino
– un cucchiaio di olio evo
– sale
– affumicatore e trucioli di quercia e noce
Per la salsa di farro:
– 20 ml olio evo
– 25 g farina di farro integrale
– 250 ml brodo vegetale basico
– 2 g sale
– 2 g pepe nero
Per rifinire il piatto:
– foglioline di basilico


Realizzazione pasta e patate 3.0
Per il raviolo semitrasparente
In una ciotola versate la passata di pomodoro e l’acqua, e mescolate. Quindi filtrate il tutto con un colino a maglie strette, versate il composto in una pentola, aggiungete il sale e mettete sul fuoco. Quando inizia a sobbollire, togliete il pentolino dal fuoco, aggiungete a pioggia l’agar agar, mescolate con una frusta e riposizionate la pentola sul fuoco.

lasciate cuocere per due minuti, continuando a mescolare, poi togliete dal fuoco e versate il succo di pomodoro in una teglia fredda, andando a formare uno strato sottile. Lasciate solidificare completamente, a temperatura ambiente.
Quando il succo di pomodoro si sarà gelificato, ricavate 16 cerchi, aiutandovi con uno stampo rotondo o coppapasta piccolo.
Per il ripieno
Sciacquate e pelate le patate, quindi affettatele spesse mezzo centimentro e ricavate una dadolata piccola e regolare. Portate a bollore una casseruola d’acqua, salatela e versate la dadolata di patate. Lasciatele cuocere due minuti di timer, quindi scolatele e sciacquatele sotto l’acqua fredda. Questo procedimento andrà a conferire alle patate la giusta nota croccante al piatto.
Una volta sbianchite le patate, fate scaldare un filo d’olio evo in padella, aggiungete gli aghi di rosmarino, quindi calate le patate. Usate una cottura non troppo vivace, e spadellatele spesso: dovranno risultare sufficientemente dorate su tutti i lati, e croccanti.
Una volta pronte le patate, versatele in una ciotola, copritele con la pellicola, ed inserite la cannula dell’affumicatore che, appena azionerete, vi permetterà di affumicarle.




La scelta di queste tipologie di legno non è casuale: la quercia, intensa e profonda, porta con sé un carattere deciso, quasi ancestrale, che dialoga con la terra. Il noce, invece, ne smussa gli angoli con una rotondità dolce e avvolgente. Insieme, generano un profilo aromatico che rispecchia l’anima del piatto: rustico ma preciso, moderno nella tecnica ma radicato nei sapori del territorio.
Per la salsa di farro
Versate l’olio in una casseruola, fatelo scaldare appena e aggiungete a pioggia la farina, mescolando con una frusta.


Versate a filo il brodo vegetale, mescolando continuamente, e lasciate cuocere la salsa (sempre mescolando!) per circa 7/8 minuti, fino a quando non si sarà addensata. Aggiungete il sale ed il pepe un minuto prima di togliere la salsa dal fuoco.
Impiattamento
Stendete la base di salsa sul fondo del piatto piatto.
Posizionate un bottone trasparente di pomodoro.
Mettete un cucchiaino di patate al centro del raviolo, ed una goccia di olio evo.
Coprite delicatamente con un secondo foglio di raviolo.
Guarnite con foglioline di basilico fresco
I Produttori: storie, valori e ispirazioni.
I produttori che ho scelto di coinvolgere in questa ricetta incarnano non solo qualità e competenza, ma anche una visione etica e sostenibile del lavoro agricolo.

L’Azienda Agricola Giorgini, produttrice della passata di pomodoro da sugo, si distingue per la sua dedizione alla filiera corta e alla trasformazione immediata del prodotto. La loro missione è preservare il sapore autentico del pomodoro attraverso metodi di coltivazione rispettosi dell’ambiente. Le colture vengono irrigate con sistemi a basso consumo idrico e la lavorazione avviene a pochi metri dai campi, riducendo l’impatto ambientale. Il risultato è una passata densa, profumata e genuina, che racconta il sole della Maremma e il lavoro scrupoloso di chi la coltiva.
La Cooperativa Agricola di Tarquinia è un simbolo del territorio, fondata su valori di cooperazione, tutela delle varietà locali e rispetto per l’ambiente. Le loro patate crescono in un suolo sabbioso che ne esalta il sapore, e vengono coltivate con metodi sostenibili che evitano l’abuso di fertilizzanti chimici. Oltre alla qualità del prodotto, la cooperativa si distingue per il ruolo sociale che ricopre, offrendo lavoro a giovani agricoltori e incentivando pratiche agroecologiche. La varietà di patate selezionata per questa ricetta è particolarmente adatta alla tecnica di affumicatura, grazie alla sua polpa soda e saporita.
Il Frantoio Prosciuttini è un’istituzione nel mondo dell’olio extravergine di oliva laziale. L’azienda si avvale di cultivar autoctone come Caninese e Frantoio, raccolte rigorosamente a mano e molite a freddo entro poche ore. L’olio che ne risulta ha un profilo sensoriale armonico, con note erbacee e un retrogusto leggermente piccante. L’impegno nella sostenibilità è testimoniato dalla gestione degli uliveti secondo metodi biologici, dalla riduzione degli scarti e dal riutilizzo delle sanse. Ogni bottiglia racconta una stagione, un territorio e un amore profondo per l’olivicoltura.
Il Mulino La Turchina, infine, è una piccola perla nel panorama molitorio artigianale. Situato in un’area collinare incontaminata, lavora solo cereali biologici, prevalentemente coltivati in loco. Il processo di macinazione a pietra consente di mantenere intatte tutte le componenti del chicco, inclusi germe e crusca, dando vita a una farina integrale profumata e ricca di nutrienti. Oltre alla qualità intrinseca del prodotto, ciò che rende unico questo mulino è la filosofia di trasparenza, filiera corta e promozione di grani antichi e dimenticati. La farina di farro scelta per questa ricetta è un omaggio alla memoria rurale della Tuscia.

Valori sostenibili e consapevolezza
Uno degli aspetti che più mi ha colpita nel corso di questa esperienza è la coerenza con cui ogni produttore opera secondo principi di sostenibilità ambientale e sociale. Dalla gestione consapevole delle risorse idriche, alla rotazione colturale, fino alla valorizzazione del lavoro agricolo come mezzo d’inclusione, il territorio raccontato attraverso DivinMangiando è un territorio che non si limita a produrre: rigenera.
Questa ricetta rappresenta per me un punto di incontro tra ricerca gastronomica e responsabilità sociale. Non è un semplice esercizio di stile, ma un gesto che si nutre di storie vere. Anche senza essere stata fisicamente a Tarquinia, ho potuto “camminare” tra quelle terre attraverso i racconti, i profumi, le consistenze e le visioni di chi quei luoghi li abita ogni giorno.
L’uso del farro integrale, ad esempio, non è una semplice scelta gastronomica, ma una dichiarazione d’intenti: supportare la biodiversità e riscoprire grani antichi. Le cooperative locali impiegano pratiche agronomiche che preservano il suolo, riducono l’impatto della chimica e restituiscono al consumatore un alimento che è anche cultura. In questo contesto, cucinare diventa un atto etico. Ogni piatto è una forma di racconto, una narrazione consapevole che passa dal gusto per arrivare alla coscienza.
Altri produttori e realtà locali
Tenuta Valentini
Nonostante la polpa di pomodoro e basilico della Tenuta Valentini non sia presente nella ricetta, ho voluto conoscerla per la qualità del prodotto. Si tratta di un’azienda che lavora in simbiosi con la stagionalità, ottenendo conserve dal gusto autentico, con un uso sapiente del basilico fresco.
Fattorie Solidali Semina
Fattorie Solidali è un’impresa agricola e sociale. Producono creme vegetali biologiche (come quella di carciofi, di zucca, di carciofi contadina, ecc) con l’obiettivo di integrare nel lavoro soggetti svantaggiati. È questa la ragione per cui ho voluto includere idealmente la loro crema di carciofi contadina bio nella narrazione della ricetta: l’unione tra gusto e valore umano.

Azienda Agricola Massimiliano Biaggioli
La loro visione agricola è poetica: il gel di rosa piccante nasce da una sinergia tra la dolcezza floreale e la piccantezza controllata del peperoncino. Una combinazione che racconta emozione e delicatezza. Il loro operato mi ha colpita per l’estetica e la ricerca.

Apicoltura Ercolani
Il miele millefiori dell’Apicoltura Ercolani racchiude in sé la flora spontanea dell’Alto Lazio. Una dolcezza mai stucchevole, con profili aromatici che cambiano a seconda delle fioriture. Una scelta che testimonia un modello produttivo rispettoso delle api e della biodiversità.
Centrale Ortofrutticola di Tarquinia
Le mandorle sgusciate di questa cooperativa rappresentano un’altra eccellenza, anche se non presenti nel piatto. Le mandorle vengono raccolte manualmente e lavorate con attenzione per mantenerne la croccantezza naturale. Simbolo di un’agricoltura che valorizza anche le colture minori.

Azienda Agricola Giovanni Piergentili
Producono una crema spalmabile alla nocciola biologica che racchiude la purezza della nocciola italiana. È una crema autentica, priva di additivi, che parla di territorio e artigianalità.
Azienda Agricola Luca Di Piero
Il loro olio di nocciola è intenso, tostato, ideale per la pasticceria e per abbinamenti arditi. Un ingrediente che incuriosisce e che sarà oggetto di futuri esperimenti gastronomici.
Azienda Agricola Anna Elisei
Il loro vino Terre Palus è un omaggio alla palude bonificata che oggi è terra fertile e coltivabile. Una viticoltura di recupero, che dona vini strutturati e pieni di personalità.
Azienda Agricola Biagini Elvio
Il loro zafferanone, un cartamo dalle tinte intense, viene utilizzato per ottenere una spezia nobile e delicata, alternativa allo zafferano classico. Mi ha colpito la cura con cui lavorano ogni fiore.
Nesler s.s. Agricola
L’insaporitore fermentato “Umori di favola” è un prodotto innovativo, fermentato naturalmente, che si avvicina alle tecniche giapponesi, mantenendo però un cuore italiano. Una novità assoluta.

Perle della Tuscia
Le lenticchie di Onano I.G.P. sono piccole, compatte e saporite, coltivate da generazioni nella zona del viterbese. Anche se non le ho usate, meritano una menzione per la loro tipicità.

La cucina come ponte tra etica e creatività
Il progetto DivinMangiando, proposto da AIFB, mi ha insegnato quanto la scelta degli ingredienti non sia mai neutra: è un’alleanza tra cuoco e territorio, una scelta politica e affettiva. Con questa ricetta ho voluto raccontare un paesaggio interiore fatto di rispetto, innovazione e meraviglia.
In un’epoca in cui tutto corre veloce, scegliere la lentezza della buona agricoltura è un atto rivoluzionario. E raccontarlo attraverso il cibo è la mia missione.


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